Les Parapluies de Cherbourg, un musical francese

parapluie-locandinaIl festival Lumiere 2016 che si tiene a Lione consegnerà il proprio Prix Lumiere a Catherine Deneuve. Una donna, un’attrice, il cui carisma e la cui forza hanno affascinato attraverso una lunga brillante carriera. Di conseguenza stupisce di non vedere tra le pagine del programma il capolavoro che l’ha consacrata sul grande schermo : Les Parapluies de Cherbourg.

Palma d’oro a Cannes nel 1964, candidato all’Oscar, questo primo musical francese cinematografico che deliberatamente fa l’occhiolino ai colossi di Hollywood come “West Side Story” diventa in breve tempo un fenomeno internazionale.  E’ il primo film a colori totalmente cantato.  E qui i colori, saturi e elettrici, giocano un ruolo da protagonista, quasi allo stesso livello di una partizione studiata per ottenere la massima commozione dallo spettatore. Considerato il mio personale coinvolgimento durante la visione posso ammettare che la missione é magistralmente riuscita nonostante siano trascorsi 52 anni dall’uscita del film di Jacques Demy.

La partizione stessa é scandita da frasi « primo fazzolezzo », « secondo fazzoletto », ecc…  mentre le tematiche dell’assenza, della guerra, del tradimento, del folle amore, della passione, della fedeltà scorrono tra le note. Questo é anche uno dei rari film in cui viene evocata apertamente la guerra in Algeria.

parapluie-immagineUna giovane e splendente Catherine Deneuve interpreta Génevieve che vive il suo primo grande amore con Guy rappresentato dall’italianissimo Nino Castelnuovo ; sono felici, vogliono sposarsi. E tutto cio’che viene dopo é inutile svelarlo. Ma nell’amara delusione delle storie a cui sembra mancare un lieto fine ricordiamo che Genevieve non ha dimenticato, altrimenti non sarebbe tornata a Chembourg. La sua colpa é quella di non aver avuto la pazienza di attendere.

Un’opera moderna, attuale, scandita attraverso tre atti felici e tragici che ci interroga sino a che punto sia possibile lottare per realizzare i propri sogni, quale sia il significato della vita e del proprio passato, ma anche del valore del proprio futuro.

 

Euro 2016 – L’esposizione di Lione, divino calcio

divinement footGli europei di calcio del 2016 trovano casa dai nostri vicini di casa francesi. L’evento che raccoglie tifosi da ogni paese (o quasi) del vecchio continente invade alcune grandi città, tra cui Lione che, concesso il gioco di parole, colgono la palla al balzo per lanciare qualche evento culturale che possa sposarsi con un mondo che il più delle volte sembra molto lontano dalla filiera culturale.

Dibattiti e confereze sul tema della « democrazia » nel calcio sono nel calendario cittadino sotto l’ombrello La démocratie par le foot, ma non solo. Il museo di storia cittadina, il museo Gadagne, che trova casa nel centralissimo quartiere di vieux Lyon si é messo in gioco inaugurando il 21 aprile un’esposizione : Divinement foot !

Fino al 4 settembre la città si rivolge ad un pubblico differente, quello dei turisti che si recano in città per assistere a una partita, a coloro che si dipingono il volto e si avvolgono nella bandiera della propria nazione, a quei tifosi che non siamo abituati a immaginare all’interno di un museo. Ma perché no ? Sarebbe limitativo perdere l’occasione e affermare il contrario. La storia di un tessuto cittadino passa anche da questo, e in Italia dovremmo saperlo molto bene.

E cosi Lione ci ricorda attraverso un’esposizione interattiva adatta ad ogni tipo di pubblico come questo sport sia da considerarsi una sorta di nuova religione particolarmente popolare in tutto il mondo. Se ne analizzano i riti, gli eroi beatificati, i luoghi di culto, i valori. Il tutto con in apertura la sovrapposizione evidente della coppa premio (quella che si alza a seguito di una vittoria per intenderci…e che si colleziona con fierezza) e del calice che rimanda a sua volta a tradizioni come quella del Santo Graal. Tutto diventa immadiatemente evidente.

Vignette-paniniL’introduzione inserisce subito questo sport nella dimensione sacrale, i calciatori sono idoli ed eroi. Un vacabolario religioso. L’olandese milanista Van Basten accettava l’appellativo di « San Marco » donatogli dai tifosi… Un vero e proprio furto della terminologia e cultura propria al campo religioso, e non si tratta di campo da gioco. Noto a chiunque é il culto di Pelé, per il quale la nazione ha addirittura istituito un giorno di festa nazionale, e di Maradona. Simili a quei santini che le nonne di altri tempi conservano gelosamente, ecco spuntare immagini dei giocatori da idolatrare. Era il 1961 quando la repubblica del pallone (leggesi Italia) generava una vera e propria rivoluzione : l’album di figurine Panini ! Proprio durante i recentissimi Mondiali di Rio i giocatori spagnoli sono state rappresentati nell’album storico da un’artista tedesco  come santi in vetrate di una cattedrale. Scelta originale che lo stesso autore attribuisce propria alla cultura spagnola poiché ammette che non avrebbe potuto realizzare la stessa cosa per la squadra della Germania. Differenze culturali…

altarino maradonaQuesta nostra Italia, non considerata la Cattolicissima come la Spagna, aveva comunque già sperimentato nella fase Risorgimentale una nuova religione laica, quella della patria. Quando Garibaldi diventa Maradona cosa succede ? Emergono anche in questo caso le reliquie preziose e senza prezzo. Quindi esposto in sala un pittoresco altarino (riprodotto) presente di fronte un bar napoletano contente un paio di capelli del celebre giocatore argentino. Quei capelli vengono idolatrati, e non solo. Citando lo stesso testo pubblicato su Wikipedia é stata fondata nel 1998 a Rosario una chiesa a lui dedicata : « La Iglesia Maradoniana (Chiesa di Maradona) è una religione parodistica fondata dai sostenitori dell’ex-calciatore argentino Diego Armando Maradona, da loro considerato il migliore al mondo nonché Dio del calcio. ». Preghiere, sacramenti e festività (esiste sia una Pasqua che un Natale), nonché una buona dose di seguaci sorprendono i non credenti ! Ovviamente l’esposizione lascia aperta una parentesi sui dibattiti che restano in ogni caso vivi a oggi come l’abuso di droga e l’illegalità praticata dal giocatore…

Ma siamo ancora nella sfera religiosa quando il 22 giugno 1986 lo stesso Maradona, durante i mondiali in Messico, segna di mano contro l’Inghilterra dichiarando, al termine della partita, che si trattava di un gol per « mano divina ».

togoMolto interessante é anche osservare la vetrina dedicata ad altri tipi di rituali religiosi legati a questo sport, come quelli praticati dal Togo nel 2006… Le differenze culturali non impediscono alla sfera del sacro di penetrare il mondo calcistico. Vivi sono ancora i ricordi dei reportage sui riti voodoo prima di alcune partite importantissime giocate dagli azzurri, o espressioni del tipo « di macumba si vince » !

Per chiudere con una nota di sacralità anche nazionale, diamo spazio all’inno cantato in apertura, prima del calcio d’inizio, quell’inno che faticosamente i nostri giocatori non semplicemente cantano, ma in alcuni casi si esprimono con la mano sul cuore. E i tifosi anche. Il culto della Patria, il culto del Calcio, il CULTO punto.

Le forme dell’amore in “Café Society”

café societyLa croisette del 2016 ha visto sfilare sul tapis rouge dell’apertura del festival di Cannes un cast giovane e brillante unito sotto le ali protettrici di un fecondo Woody Allen. Nulla da dire a proposito delle ottime interpretazioni, della fotografia impeccabile di un mondo color seppia e argento che sembra risultare molto apprezzato.

La mia riflessione sorge piuttosto soffermandosi sul termine « amore », parola attorno alla quale gira la sinopsi letta dalla sottoscritta (e non solo) prima di accedere alla sala cinematografica. Questa parola dovrebbe riflettere il nodo centrale dell’intreccio cinematografico in atto : la storia della relazione amorosa tra i due protagonisti. Una lettura superficiale della pellicola lo conferma in modo ineccepibile , quasi banale.

La mia lettura pone pero’ una serie di questioni, legge negli sguardi, nei silenzi cosi come nelle frasi che ondeggiano nei dialoghi sempre tanto importanti nelle opere di Allen. E la conclusione é un’esclamazione : ma questo allora sarebbe amore ?

All’interno di questa « Society » prendono parte più forme di amore che pero’ si contraddistinguono nettamente, partendo da quello più genuino e quasi innocente (ma forse non ingenuo) della moglie del protagonista, a quello dell’uomo atcafe society3tempato che perde la testa per la propria segrataria… L’unico che pero’ trova posto sul piedistallo di cristallo e capta tutta la luce dei riflettori é quello « contrastato » dei due protagonisti, il quale li renderebbe quasi una nuova sorta di Romeo e Giulietta, amanti maledetti.

Tutto questo ha fatto sorgere in me un forte turbamento interiore. Sarebbe amore stare insieme a una persona solo perché in grado di riempire di complimenti e di far sentire importante ? O forse potremmo pensare piuttosto a riconoscenza, simpatia, ecc. Non nego possa entrare in gioco la vanità, ma dubito fortemente di poter utilizzare a giusto scopo il termine « amore » all’interno di un tale contesto.

Sarebbe amore scegliere di sposare l’uomo che possiede un’enorme fonte di mezzi economici e ricchezza, potenza, stabilità, in grado si garantire opulenza in gioielli e vita mondana ? A mio parere corrisponde a una sorta di opportunismo che combacia col fascino subdolo del potere, il quale non é pero’ sinonimo di amore.

Sarebbe amore ritornare a pensare a quel ragazzino liquidato senza mezze misure in quanto naif e squattrinato quando lo si ritrova in cima a un impero, celebre, elegante e sicuro di se ? Evito direttamente una risposta…

Forse l’unico amore é quel colpo di fulmine , a senso unico evidentemente, che continua a tormentare il protagonista, che lascia il futuro in sospeso, perché non é stato consumato, e non tanto perché proibito. La fiamma non si spegne quando non si concede alla candela il tempo di consumarsi. Ma evitiamo di persuaderci del contrario, il senso é unico. L’incrocio di forme é l’unico AMORE di “Café Society”: un cerchio, un rettangolo, un quadrato e un triangolo.

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Giorgio Bassani e “Il romanzo di Ferrara” – La lirica della missione

Il_romanzo_di_FerraraPer andare a Ferrara serve un libro. Per conoscerne l’atmosfera servono delle pagine ben scritte. Serve la poesia e la lirica di un romanzo non comune e di un autore che decide di imporre la stessa scrittura come strumento d’espressione della propria emozione.

Giorgio Bassani e il suo « Romanzo di Ferrara » navigano con circolarità magistrale tra novelle e romanzi di una vita attraverso gli stessi luoghi e gli stessi personaggi creando une vero e proprio microcosmo con una logica interna precisa e impeccabile. L’insieme delle opere trova giustamente posto nel « Romanzo » essendovi qui un vero corpus dalla coerenza tematica.

L’autore, in quanto « poeta », sente la necessità di descrivere (in modo quasi ossessivo, fino a cristallizzare) per comprendere. A lui spetta il compito di recuperare un passato problematico. Qualcosa di traumatico. Senza pero’ entrare nelle maglie del movimento neorealista, senza dar vita a un romanzo ideologico. Lui, come Primo Levi, DEVE farlo.

Bassani é uno scrittore difficile. Bassani fa dell’esperienza dell’esclusione il pilastro fondante della sua opera. Lui é uno scrittore che vive il suo secolo e lo racconta : la nascita del movimento fascista ; l’inizio e lo sviluppo della tragedia antisemita in Italia ; l’immediato delicato dopoguerra. La storia con i suoi avvenimenti é un fil rouge che si sente, che si narra. Il 1938 e le leggi razziali sono sempre nello sfondo. Sono sempre presenti mentre a Ferrara dove gli ebrei sono borghesi e fascisti come ogni italiano patriota. Sono i volontari che hanno partecipato al primo conflitto mondiale.

Ferrara pero’ deve essere raccontata da un Bassani che la vive come prigione. Questa é per lui una prigione del passato, quello traumatico che non si puo’ dimenticare nonostante la nuova Italia desideri cancellare ogni ricordo spiacevole. Ferrara é sempre cinta da mura. Ferrara é una città che osserva e giudica. Ferrara é borghese, laica, reazionaria e fascista. Lei é la città emblematica all’interno di un’Italia che non ha saputo negarsi alla dittatura. E lui la narra attraverso storie di rotture sociologiche, restituendo una struttura logica al caos storico. La denuncia storica e la dimensione letteraria coabitano allora fedelmente.

Fuggire da Ferrara significa restarne comunque prigioniero, e se ogni personaggio é cosciente dell’alternativa, sa che al destino non si puo’ sfuggire. L’individio é continuamente prigioniero dllo sguardo dei curiosi. L’individio arriva anche al suicidio, come forma liberatoria, come desiderio estremo di fuga. Lo stesso Bassani fuggendo dalla sua città, raggiungendo Roma e Napoli, é un prigioniero della sua Ferrara.GIORGIO BASSANI - IL GIARDINO DEI LIBRI

La città é senza dubbio coprotaconista con l’io del narratore. Alla topografia viene attribuita un’importanza fondamentale in quanto anche metaforica. La città parla e si esprime. Spazio e tempo sono due dimensioni strettamente legate, immobili.

L’autore vive una missione : quasi una sorta di intermediario tra i vivi e i morti, per lui che ha il peso di essere sopravvissuto, e vuole restituire dignità a quella persone la cui scomparsa diviene banale oblio. Si incarica di mantenerne viva la memoria. Di darle quella dimensione di eternità propria della scrittura, di conservare il suo sguardo sempre rivolto all’indietro (come dice egli stesso ne « Il giardino dei Finzi Contini »), di andare alla ricerca di quel tempo perduto. (Innegabile l’influenza di Proust.)

Il romanzo é un viaggio nel passato. Fissarne le esperienze e resuscitare attimi di vita. Oltre quella frontiera simbolica e discriminante, quella divisione spaziale e sociale che puo’ essere immaginata in corso Giovecca.

La sua é vera indignazione ma evocata in modo sottile. Il peggio é cio’ che non viene raccontato. Come i campi di sterminio, oggetto onnipresente ma all’interno del campo del « non detto ».

C’é qualcosa di poetico e di estremamente enigmatico nella lettura di Bassani. Spetta al lettore tirarne le conclusioni finali, elaborare il tutto attraverso la sua coscienza.

La chiarezza e la descrizione particolarmente realista accompagnano personaggi ambivalenti e instabili in una realtà complessa. L’unica cosa evidente é la solitudine e l’esilio di un intellettuale che sente di dover rendere conto di tutto attraverso la letteratura.bassani___targa_casa

Bassani vive una missione.

Letture sotto l’ombrellone: “Sanditon” di Jane Austen

sanditonChe io sia una fervente seguace di Jane Austen é chiaro a chiunque abbia avuto il merito di incontrarmi. Non vi é mai stata ombra di dubbio. Che io sia cresciuta a pane e Jane, scrivendo citazioni in ogni dove, pure.

Bene, la mia opinione e la mia passione non sono mutate col trascorrere del tempo, ma una domanda sorge spontanea: per quale assurdo teorema scientifico dobbiamo noi posteri pubblicare manoscritti abbandonati, incompleti?

Non volendo pretendere il titolo di critica letteraria mi limito solo a chiedere il rispetto nei confronti dell’autore. Perché acquistare Sanditon non é corretto. Leggerlo non ha senso, offensivo nei confronti di Jane. Cosi’ come trovare in copertina  le due belle parole “EDIZIONE INTEGRALE”: follia se il riferimento é verso un’opera che nulla ha di integrale. Si tratta di un centinaio di pagine, incipiti magari di qualche promettente romanzo, un esercizio letterario ultimo della miglior narratrice al mondo, che pero’ non si conclude in nulla. Ci lascia cosi, non avanza di un passo.

Non possiamo nemmeno sfruttare la fantasia e dilettarci in esercizi di proiezione dei personaggi essendo gli elementi a disposizione troppo miseri. Siamo privi di entusiasmo oltre che delusi. e questa pubblicazione é un pessimo errore.

Cinepanettone della befana : Aldo, Giovanni e Giacomo

Siamo preparati da buoni italiani a trascorrere almeno un pomeriggio/serata del periodo festivo natalizio comodamente al calduccio delle poltrone di una sala cinematografica che proietta qualcosa di leggero, che cancella i pensieri del quotidiano e lascia correre i vari disastri. Tutto cio’ é comunemente riassunto dal termine Cinepanettone. Cito testualmente una definizione che non lascia scampo a dubbio alcuno : “Cinepanettone” è un termine che, nato inizialmente in senso dispregiativo, ha finito col definire una serie di film che escono nelle sale cinematografiche intorno al periodo natalizio. Sono film comici, un po’ grossolani e volgari, che però registrano sempre un grande successo di pubblico, pubblico alla ricerca di un divertimento semplice in un periodo di preoccupazioni qual è il mese di dicembre.

cinepanettoni

Da brava storica quale sono scopro inoltre che sembra che la parola sia nata per definire il film Vacanze di Natale del 1983, ambientato a Cortina d’Ampezzo…seguito poi da mille altri simili come sappiamo…

il ricco il povero il maggiordomoDi conseguenza, tornata nella mia patria natia in occasione di queste festività, mi dedico alla lista cinematografica disponibile per non lasciare che la tradizione sia messa da parte ! La scelta é ardua : la nuova abitudine propone diverse proposte dello stesso genere (ma non posso andare al cinema ogni pomeriggio !). A seguito di una lunga riflessione escono vincitori Aldo, Giovanni e Giacomo con il loro nuovo Il Ricco, il Povero e il Maggiordomo , qualcosa che alla fine si é dimostrato migliore del classico cinepanettone, con un senso.

Grandi assenti sono proprio la volgarità e la grossolanità, mentre é centrale la frase di Giacomo : “c’e la crisi, la solidarietà e il sapersi accontentare” . Non siamo più ai livelli epici di Tre uomini e una gamba ma si ride, si ride bene, e non si esce scontenti. Il sorriso merita di essere ben speso col proprio vicino di poltrona !

Piccola curiosità : nei titoli di coda si scopre che si tratta di un « film ecologico » grazie all’abbattimento dei consumi energetici, l’uso limitato di materiale inquinante e il corretto smaltimento di rifiuti… Obiettivo certo da non sottovalutare in questa nuova epoca moderna !

Il prestigioso DEVDAS di Sanjay Leela Bhansali

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Il più celebre dei lungometraggi dell’industria di Bollywood finalmente non é più un segreto. Ho atteso anni, dalla prima volta in cui decisi di vederlo trasmesso in un caffé/cinema torinese, e finalmente ora ho la possibilità di dare la mia opinione sul film di cui tutti parlano in citazione alla produzione dell’India contemporanea.

Si tratta di tre ore, come in ogni vero film bolliwoodiano che si rispetti, dove non manca nessun ingrediente per raggiungere il risultato perfetto richiesto dalla ricetta : musica, colori, danze, bellezza, dramma, passione.

Tutto é fin troppo perfetto da essere ovviamente circondato dall’aurea di « impossibilità » che lo allontana dalla vita reale, ma nulla impedisce a questa storia di amore impossibile, ostacolato dalle famiglie e dalle avversioni di casta, di provocare sensazioni e piaceri.

La storia di Paro e Devdas, che sin dall’infanzia sono attori di un’attrazione estrema, non si allontana da quella indimenticabile veronese di Romeo e Giulietta in quanto a disperazione e amore mixati tra loro (con lieto fine negato in modo assoluto). Ed io ho pianto. Si, perché anche se la storia regge poco, l’estremità dei gesti e la bellezza in cui sono espressi non puo’ lasciare insensibili coloro che vivono di sogni e di queste ebrezze.devdas2

Certo non é un film da vedere in piena fase depressiva, ma lo consiglio senza esitazione a coloro che vogliono avere un’immagine più o meno chiara dell’India al cinema, questo mondo che con forza e ingenti investimenti é diventato un vero e proprio torrente di produzione. E Devdas, con la sua scena finale straziante, rientra nel mito popolare indiano ! … Senza dimenticare ovviamente il cast tra cui brillano Shah Rukh Khan e Aishwarya Rai … ma questa é un’altra storia !

Autunno al cinema (francese)

Samba di Eric Toledano samba

Samba, senegalese in Francia da 10 anni, e Alice, quadro superiore in pieno burn out. Questa é una storia di ricostruzione umana dove ciascuno cerca di uscire dal proprio impasse …

Atteso a lungo, finalmente si é reso noto il nuovo lavoro del realizzatore di Intouchables. In mezzo alla lettura di numerose critiche mi sono imbattuta in coloro che preferiscono definire il tutto come una fiera della banalità dove regna una gentilezza smodata e un buonismo esagerato tanto da essere irreale. Io preferisco andare oltre. Ovvero guardare il film. E godermelo.

Godermi il pensiero positivo che resta sottinteso in una realtà tramenda come quella vissuta da chi é costretto a vivere nascosto o in fuga, una realtà quotidiana di chi ha problemi relazionali e non sa più vivere. Le difficoltà si misurano diversamente, ma le favole degli anni 2000 hanno diritto ad un lieto fine cosi come quelle che nel passato ci hanno cresciuto ricchi di speranze.

 

Une nouvelle amie di François Ozon une nouvelle amie

A seguito della morte della propria migliore amica, Claire affronta una scoperta piuttosto sorprendente a proposito del marito della sua amica, David… ritrovando il sapore della vita.

Il 40enne Roman Duris é lontano anni luce dallo studentino parigino disperso per Barcellona… L’ultimo lavoro di Ozon, salutato dalla stampa locale quasi come un capolavoro, é un tuffo a 361 gradi nel profondo della tematica LGBT, oggi piu che mai al cuore dell’attualità.

David é l’uomo che si ama in donna ; Claire é la donna che crede di amare gli uomini… il gioco delle relazioni diventa un incastro complesso. Ma mai volgare.

Il primo livello dell’opera resta comunque un lavoro sul travestimento : unghie finte, parrucche e forcine, rossetti e ombretti, giarrettiere e seni fittizi, tacchi a spillo.

E’ forse difficile sentirsi a proprio agio con un tale tasso di femminilità ma la scommessa é stata vinta brillatemente da un Roman Duris quasi caricaturale. Perché la Virginia a cui da vita non é bella, volutamente.

Autunno al cinema: “Gone Girl” di David Fincher

gone girl2Amy, brillante e glaciale, é l’eroina del decimo capolavoro di un grande realizzatore: David Fincher.

La sposa modello che in una banalissima storia scompare nel nulla lasciando cadere ogni indizio colpevolizzante sul marito che la tradisce, puo’ a prima vista non destare nessun interesse profondo. Ma tutto il percorso del lungometraggio non é altro che una pioggia di suspense graduale che conferma sino a che punto l’educazione delle “ragazze bene” possa obbligare ad un perfezionismo alienante.

gone girlUn meraviglioso Ben Affleck (non solo in quanto a portamento fisico, ma soprattutto a interpretazione) affianca una donna che in realtà é l'”umiliatrice suprema”, una sorta di vendicatrice senza pietà verso l’orgoglio maschile. La splendida Amy é la grande castigatrice che risveglia il tema della protezione tra le mura domestiche ma a parti inverse.

Se Fincher sia misogino o meno non si puo’ dire, ma sicuramente l’immagine della donna emergente da Gone Girl riprende una forte battaglia psichica ideologica nel corpo di una donna. Cio’ non conferma la tesi di un realizzatore “nemico delle donne”…

Una sera a teatro : “Fever” di Attilio Sandro Palese

Lione é una straordinaria città culturale. Le occasioni per nutrirsi di “art vivants” non mancano mai. Andare all’opera, come assistere ad unFever_2014_ressourceOriginalea commedia teatrale, equivale a un’uscita serale al cinema. Sicuramente questo é uno degli aspetti che adoro maggiormente di questo mondo.

Cosi’ colgo l’occasione per assistere al Theatre de Célestins (edificio magnifico situato nel centro città) a un’opera il cui titolo mi aveva colpito sin dalla presentazione estiva della nuova programmazione stagionale: “FEVER, à la vie à la mort”.

Il testo é liberamente ispirato ad un classico a tutti conosciuto (e considerato piuttosto affascinante dalla sottoscritta) ovvero “La febbre del sabato sera”. Inoltre la produzione franco-svizzera mi sembra promettente.

Cio’ nonostante la noia e l’incomprensione sono stati il filo conduttore di una visione la cui ottima interpretazione di attori senza dubbio impeccabili non ha impedito una delusione notevole e ampiamente inaspettata. fever 2

Troppa carne al fuoco? Astrazione spinta agli estremi? Non credo di avere i mezzi adatti nel giudicare cio’ che non ha funzionato, ma la stessa nota del creatore non sembra rispecchiare il frutto a cui ho assistito.

Ballare per dimenticare la tristezza del mondo circostante, ballare come gioia che da senso alla vita, mentre intorno egoismo, razzismo, ignoranza sono gli ingredienti di una quotidianità a Brooklyn.

In tutto cio’ le pontezialità di un’opera che poteva struttare temi forti e di grande respiro mi sembra sia stata soffocata senza raccontare nulla veramente. Forse presento un’eccessiva criticità ma avrei desiderato delle sensazioni reali.