La lirica de « L’angelo di fuoco » e la sua logica terrificante

ange-de-feu-lyonC’é una giovane donna straniera, bionda, dall’aria candida, ma sotto i suoi occhi cosi belli si nasconderebbe il diavolo ? Sola in un albergo in fondo al bosco, abbandonata dal mondo, Renata cerca il suo compagno, Madiel. Sono legati da una promessa, ma lui dov’é ? Renata cerca, é impaziente. Lui é partito lasciando a questa giovane come unica compagnia solo una banda di tristi demoni che si agitano nella notte. Ovviamente il villaggio la teme, se ne parla. Si narra che sia lei la colpevole della scomparsa dei bambini, che divori le pecore, che adori Belzebù. Madiel, suo angelo custode, aveva avviato Renata sin da bambina ad una vita casta e di santità , ma lei si invaghisce dello stesso che, irato, si trasforma in una colonna di fuoco. Solo un uomo coraggioso, un cavaliere, Ruprecht ha pietà di lei. Ne é addiruttura innamorato, nonostante il cuore di Renata sia totalmente preso da Madiel. Per lei é disposto a tutto : combattere sino anche a morire.

Il russo Prokofiev sa andare contro le regole del gioco dell’opera classica. La sua é un’opera proibita, tratta dal celeberrimo romanzo di Brjusov, una macchina da incubo, un’opera carica di simbolismo e misticismo, di elevazione spirituale. Un mondo cupo e sconvolto quello che arde nell’ Angelo di fuoco, non facile da rappresentare.

E’ la storia di una tragica ossessione ambientata nelle nere inquietudini della Germania del ‘ 500. Intorno vi sono duelli, premonizioni, stregonerie. Ma quello che rende più il pubblico più instabile sono le perpetue visioni demoniache, ossessive, molto più che inquitanti, fino alla condanna al rogo di Renata da parte dell’Inquisizione per essersi congiunta carnalmente con il Demonio . In seno al convento la giovane ha trovato Madiel, il male.

La musica é forte, ben scandita, quasi allucinata, dal dinamismo frenetico. Nessuno spazio alle lacrime romantiche e patriottica a cui siamo stati abiatuati. Solo profonde riflessioni sulla condizione umana, ambigua, densa, appasionata.

Abbiamo un’eroina i cui desideri sono smisurati al punto da poter essere definiti vertiginosi. L’enigma che la confonde é responsabile del dinamismo della storia, dell’affascinante impresa che sfugge alla ragione. E’ la sconfitta di fronte alla potenza delle forze del male che sembra nascere semplicemente dalla ricerca dell’amore. E’ un conflitto interiore doloroso, sofferente, accecato da un desiderio carnale. Pulsioni intime che si confondono con il senso di colpa che divora l’eroina.

Assistiamo a un dramma soprannaturale, immaginario, psicanalitico. Angosciante. Temiamo e soffriamo.ange-de-feu-lyon-2

…quel conte spudorato di Rossini: il Conte Ory

le-comte-ory-agendaRidere all’opera é cosa poco frequente. Siamo tradizionalmente abituati a quel melodramma dove gli eroi sono traditi, le eroine mortalmente sconfitte, le storie irreversibili. Il tragico appartiene alla nostra abituale visione operistica e ci attrae mettre allo stesso tempo ci commuove.

Uno stile gaio, vivo e di tutt’altra bellezza é invece il dono del Rossini operistico : « Rossini ne nous donne jamais ni paix ni trêve ; on peut s’impatienter à ses opéras, mais certes l’on n’y dort pas… C’est toujours un plaisir qui succède au plaisir » dice di lui un certo Stendhal riassumendo perfettamente le sensazioni che gli appartengono. Ma non é l’opera buffa…

Le Compte Ory é una di quelle due opere francesi che Rossini compose al termine della sua carriera teatrale ; l’artista scelse in questo caso soggetto comico, moderno e spudorato (quanto immorale) che riprende una ballata ambientata nel XI secolo. Il gusto dell’epoca per i romanzi storici e le leggende decorate da una tenace fantasia appartiene a ques’epoca romantica dopotutto. L’immoralità appartiene alla nostra.comte ory

Se da un lato troviamo un nobile seduttore ostinato (ma anche perdente) accompagnato da un gruppo di scapestrati che attirano tutte le nostre simpatie, dall’altro ecco un gruppo di donne dall’impeccabile virtù : le pie donne del castello. (Mi permetto di sottolineare che forse tanto « pie » non sono se si lasciano letteramente travolgere dalle forze « demoniache » del seduttore insaziabile… ma chiamamola piuttosto « forza della natura ».) Tutto cio’ che prende vita in scena é possibile grazie a un classico gioco di mascherate e finzioni che riesce alla perfezione offrendo allo spettatore un delizioso mondo di slanci amorosi, ambiguità, equivoci, e desideri repressi, mentre la Contessa Adele (personificazione della disperazione) gestisce l’improbabile trio amoroso che si é venuto a creare. compte ory2

Le imprese del gentiluomo libertino trovano una rapida conclusione che riporta tutti i personaggi in linea arriva col ritorno dei crociati che, purtroppo, dà fine al divertimento.

Ecco che il Teatro dell’Opera di Lione ha proposto una nuova produzione di ques’opera deliziosa firmata Laurent Pelly lasciando lo spettatore leggero e soddisfatto di fronte ad un adattamento contemporaneo che calza a pennello e degli interpreti che si fondono perfettamente nella scena. E almeno per questa volta almeno niente fazzoletti e lacrime facili all’interno del teatro.

Kiss and Cry di Michèle Anne de Mey & Jaco Van Dormael

kiss_and_cryNon riguarda né bambini né personaggi usciti da Biancaneve, ma l’arte della nanodance, sulla quale prende vita il magistrale spettacolo “Kiss & Cry”, é di fatto sconosciuta ai più. Ed é il frutto dell’idea di un regista già affermato e di una coreografa assolutamente geniali.

É la danza delle mani, elegante e delicata, forte e espressiva.

 Durante una narrazione “à tiroirs”, il mondo minuzioso delle miniature é decorato e ripreso per raccontare gli istanti di una storia Kiss_and_cry_003innocente, un ricordo d’infanzia, ma anche le vibrazioni della melanconia e dell’angoscia. Si tratta della vita di una donna e della narrazione dei suoi sentimenti lungo un percorso profondamente ancorato al passato e ricco di amore. Ma questo stringe in una morsa il cuore.

La voce narrativa ricorda il focus centrale: “Où vont les gens quand ils disparaissent de notre vie, de notre mémoire?”, e insiste con questa domanda lungo l’ora e venti di spettacolo: “Où sont-ils? Perdus au fond d’un trou de mémoire ». Lo sguardo dello spettatore é quello che osserva un’innocenza perduta, almeno apparentemente, attraverso una serie di immagini estremamente poetiche e romantiche, ma anche brutali e dolorose. Crude forse. I personaggi interpretati da semplici mani trasmettono più sensazioni di quanto possiamo immaginare, e nonostante il lieto fine é difficile trattenere la lacrimuccia… (mai titolo fu più azzeccato).

Il pubblico in piedi esplode in uno scroscio di applausi che dura a lungo. É difficile spiegare quello che si é provato. L’entusiasmo verso questa esibizione insolita e finemente artistica é più che meritato.

kiss-and-cry-08Semplice e condita da un sottofondo (simile ad un sottobosco) fiabesco, l’opera é una vera é propria scoperta inattesa e decisamente emozionante. Un’equipe affiatata , un’energia che sale e diviene sempre più frizzante, un live intrecciato tra effetti speciali, musica e riprese su maxischermo: questa é la ricetta polimorfa di Kiss & Cry.

La location che ha ospitato questa compagnia di danza belga (Charleroi Danses) é il Theatre de Celestins a Lione. Questa rappresentasione arriva a seguito di ripetuti successi in patria e in terra francese (sul profilo FB dello spettacolo é chiaramente visibile il viaggio intorno al mondo che mette in scena il tutto).

« Opera de Lyon » …

Lyon_-_Grand_ThéâtreIl teatro dell’opera di Lione lascia stupefatto il suo spettatore. Non é possibile giudicare con reale obiettività (almeno da parte mia che navigo perennemente verso un tradizionalismo di vecchio stampo), ma la sala concerti priva di decori, totalmente ricoperta di nero (pareti, soffitto, ecc.), non puo’ lasciare indifferente l’esploratore teatrale. interno opera lione

In primo luogo perché é inusuale rispetto all’immaginario colletivo corrispondente al decoro dei teatri d’opera (sinonimo spesso di opulenza); in secondo luogo perché la facciata dell’edificio non lascia minimamente intendere il contenuto nascosto, cosi’ come uno sguardo al foyer riccamente decorato; in terzo luogo perché il teatro dallo stile minimalista si accosta con una certa costanza a produzioni artisitiche contemporanee che sollevano approvazione o contrarietà, ma di sicuro non indifferenza.

Le Grand Théatre de Lyon é comunque presente nella cartografia cittadina dei secoli precedenti, confermando la sua centralità nella vita sociale dei lionesi, che non rifuggivano il fascino della lirica, ma l’attendevano da Parigi.

Il frutto della moderna ricostruzione dell’architetto francese Jean Nouvel ha vinto un premio nel 1993 (prix de l’Equerre d’Argent du Moniteur). Il risultato é un teatro totalmente reinventato che intende rappresentare un dialogo simbolico tra passato, presente e futuro. Il passato é senza dubbio tracciato dalla facciata, lasciata in vita col compromesso di una grande cupola vetrata che inizialmente ha sollevato non pochi dubbi tra la popolazione. Le critiche sul paesaggio urbano oggi sono ormai superate, mntre il presente e la prospettiva dell’avvenire restano nascosti nell’oscurità delle pareti interne.Lyon-Opera

La (straordinaria) clemenza di Tito

La Clemenza di Tito

Iniziamo dal titolo : Tito é un personaggio storico, un imperatore romano realmente vissuto nel nostro passato. La clemenza é la disponibilità all’indulgenza, al perdono.

Citando una fonte molto basica (Wikipedia) apprendiamo che “Tito Flavio Vespasiano è stato un imperatore romano della dinastia dei Flavi. Prima di salire al trono, Tito fu un abile e stimato generale che si distinse per la repressione della ribellione in Giudea del 70, durante la quale venne distrutto il secondo tempio di Gerusalemme. Fu considerato un buon imperatore da Tacito e da altri storici contemporanei; è noto per il suo programma di opere pubbliche a Roma e per la sua generosità nel soccorrere la popolazione in seguito a due eventi disastrosi: l’eruzione del Vesuvio del 79 e l’incendio di Roma dell’80. Celebre è la definizione che diede di lui lo storico Svetonio: « Amore e delizia del genere umano. » per celebrare i vari meriti di Tito e del suo governo.”

Non ci stupiamo affatto quindi nell’associare al nostro protagonista una dote tanto rara a chi detiene ilo scettro del potere.

In quest’opera seria e tardiva di Mozart giocano tra loro il potere e la sofferenza. Sin dall’inizio della storia Tito é costretto a rinunciare a Berenice, la donna che ama, per rispettare il popolo romano e le sue leggi. Deve prendere decisioni importanti, cerca di sondare l’anima delle persone a lui prossime si lascia convincere dall’intelligenza emotiva di Servilia, sorella del suo fido collaboratore Sesto: dirige la macchina statale, anzi imperiale, e cerca di fare del bene (Utopia?).  Tito pero’ ha vita dura nel perseguire il suo programma, e il demone in questione é una donna (la solita “Eva” della situazione…): Vitellia. Donna piena di rancore strumentalizza l’uomo che l’adora (Sesto) per punire egoisticamente l’oggetto della sua vendetta, l’uomo che le ha impedito di salire al trono.

Il lungo gioco drammatico della sofferenza, che tocca tutti gli attori nel loro ruolo, si conclude come da programma: Tito é clemente. Perdona tutti e tutte. Ma ci fa sospirare: é buono ma non stupido.

La proclamazione della decisione, di fronte all’insieme del popolo romano fa corrispondere a un affare di stato quello che é un affare privato. Ma ci solleva dal peso che ci é cresciuto nel petto nel corso dell’ultimo atto.

D’altronde, con un titolo del genere, la storia non poteva finire male! E ci lascia uscire dal teatro con l’immagine di una società “ideale”, nonostante tutto e tutti. Il potere in questa nuova forma di leadership puo’ avere dei risvolti umani, morali, generosi… cio’ non puo’ che lasciarci sorpresi, basiti, a bocca aperta, eccetera eccetera.

La rappresentazione contemporanea della produzione del teatro La Monnaie di Bruxelles non delude. È semplice ma chiara, moderna ma concettualmente vicina al messaggio originale.

TITO

Il vero pentimento,
Clemenza_03 Di cui tu sei capace,
Val più d’una verace
Costante fedeltà.

VITELLIA, SERVILIA, ANNIO
Oh generoso! oh grande!
E chi mai giunse a tanto?
Mi trae dagli occhi il pianto

L’eccelsa tua bontà.

La crudele “Turandot”

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L’intuizione più grande della principessa cinese è l’assoluta convinzione di voler restare zitella.
La storia di vendetta legata alla propria antenata altro non é che un pretesto per evitare il matrimonio, la dipendenza da una figura maschile. Lo stesso padre (il celeste imperatore) é succube del carattere forte della figlia. La sua smania di potere assoluto impone condizioni alle quali non riesce a sottrarsi nemmeno chi detiene il potere veramente.

Turandot però é una figura carismatica cha perde charme accanto alla sua “rivale” della scena: la schiava Liu.
La condizione sociale le pone su piani opposti, ma l’essere collocata alla base della piramide non é sufficiente per impedire a Liu di divenire la vera eroina della storia. La sua generosità é evidente sin dalle scene iniziali del primo atto: la dedizione al padrone, più simile alla figura di padre, e soprattutto l’intensità del sentimento amoroso la rendono l’antiturandot per eccellenza.

Eppure Calaf ( forse perché troppo superficiale) indirizza tutto il suo interesse unicamente nei confronti della principessa. Piace credere che sia stato colpito da una freccia di Cupido, fulminato irrimediabilmente, ma non nascondo il dubbio di un certo interesse nel contratto matrimoniale imperiale.
Fondamentale resta il fatto che quel Cupido non ha scoccato alcuna freccia in direzione della nobildonna, la quale cede solo in conclusione alle sue avances più per senso di colpa, timore degli Dei e rassegnazione.

Si può sinceramente credere che l’espressione “il suo nome é amore” trasmetta il sentimento romantico allo stesso modo del gesto drammatico di Liu? La Turandot che accetta di sposare Calaf non convince di essere innamorata, ma intende farlo credere, interrompendo almeno la saga degli omicidi principeschi.

L’unica opera a lieto finge del nostro Puccini é in realtà una favola amara le cui tematiche di base coincidono esattamente con la soluzione dell’enigma misterioso.
La speranza conduce Calaf a bussare alla porta, a credere di non fallire nell’impresa e di convolare a nozze. La speranza risiede nel popolo di Pechino e nel suo imperatore che non intende assistere all’ennesima esecuzione. Il sangue é la rappresentazione fisica della crudeltà di Turandot. Il sangue scorre nella città di Pechino all’apertura dell’opera con la perdita di un giovane tedesco principe pretendente richiamato dal boia. Il sangue esaspera il vecchio imperatore ma non tange la figlia. Infine il sangue torna ad essere la soluzione della storia quando viene versato dalla povera Liu come estrema prova d’amore. E Turandot é il centro della storia. Il mondo si muove intorno a lei in ogni scena, in ogni pensiero. Turandot decide la sorti, Turandot pretende di essere la più forte.
La crudele in realtà nasconde sentimenti, non é completamente senz’anima… Ma questi coincidono con la paura e l’angoscia. Forse un giorno arriverà l’amore.
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La rappresentazione dell’opera nazionale della Lorena di Nancy ha aperto il cartellone della stagione 2013/14. La scelta di un allestimento asettico é discutibile dagli amanti della tradizione ma non si può evitare di constatare l’ampia diffusione di un nuovo modernismo operistico negli allestimenti attuali.

Un’opera é musica, é canzone, é atmosfera. Orchestra e interpreti sono importanti quanto un allestimento. Un po di tradizione comporterà anche costi più elevati, ma lascerà aperta la possibilità di sognare agli spettatori che rivivono la storia del palcoscenico con commozione e sensibilità.